La notte del Sudafrica è stata una lunga veglia funebre. “Mandela è morto”, annuncia alle 22 e 48 in tv il presidente Zuma, risvegliando un intero Paese, che si era ormai quasi abituato al lento spegnersi del suo leader. Il Madiba è spirato nella sua casa di Johannesburg a 95 anni, affrontando “forte e coraggioso la sua ultima battaglia”, come aveva raccontato solo 24 ore fa la figlia Makaziwe.
Il silenzio è calato sul mondo: un minuto di raccoglimento è stato osservato al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il presidente Obama è salito sul palco delle conferenze stampa della Casa Bianca per ricordare il presidente nero del Sudafrica. Il presidente nero degli Stati Uniti si è commosso in diretta tv ricordando “l’esempio della mia vita”, “uno degli uomini più coraggiosi dell’umanità”.
Mandela è stato semplicemente il padre della patria post-apartheid, il forgiatore della Nazione arcobaleno, traghettata oltre i decenni bui della segregazione razziale dal sorriso senza confini dell’ex pugile lottatore della libertà a Robben Island e premiato Nobel per la Pace insieme al leader bianco De Klerk – prima presidente, poi vice di Mandela – nel 1993.